Dalle origini musicali all’età moderna
Il suono è sempre stato al nostro fianco
Procedendo lungo il tempo, il rapporto tra suono e umanità si è fatto via via più “strumentale”.
Dalla musica primitiva, prodotta con corni e ossa animali, a tamburi tribali costruiti con pelle del nemico (per chi ha lo stomaco forte), fino agli strumenti medievali in legno e metallo.
Con un balzo temporale di circa 584.000 giorni, arriviamo al 2000: qui non serve più abbattere alberi o nemici.
Per ascoltare musica basta entrare in un centro commerciale e acquistare un dispositivo elettronico.
Insomma, che sia stato procreatore o compagno, il suono è sempre stato al nostro fianco.
Ma perché tutto questo affanno per mettere insieme dei suoni?
L’uomo e la musica: un legame ancestrale
Un silenzio che parla più di mille sinfonie
La storia dimostra che l’uomo ha cercato suoni e musiche per motivi mistici, spirituali o puramente sociali. Alcuni volevano evocare spiriti, altri sopperire a carenze argomentative nelle relazioni.
La musica ha accompagnato metamorfosi mitologiche (vedi Siringa e il Flauto di Pan), trilli demoniaci (Tartini), calabroni rombanti (Korsakov), passioni romantiche e traumi storici. E se pensate che la creatività musicale segua un’evoluzione lineare… ripensateci.
Compositori come Schumann, Donizetti, Mahler o Wolf hanno tradotto nelle loro opere sintomi ciclotimici, fobie e angosce. Rossini, ad esempio, compose 39 opere fino ai 37 anni, poi tacque per 40, probabilmente affetto da una forma di ipomania. Un silenzio che parla più di mille sinfonie.
E poi arrivano loro: i moderni. Quelli che scrivono per elicotteri e satelliti, in un caos dissonante che, più che stimolare il sistema nervoso, lo mette alla prova.
Il mondo è suono: tra spiritualità e neuroscienze
Benefici cognitivi, emotivi e motori
Anche il Sama Veda, testo sacro dell’induismo, afferma: “Nada Brahma” – il mondo è suono. E la scienza moderna sembra confermare: diverse tecniche di neuro-imaging mostrano che l’ascolto musicale, specie delle dissonanze, attiva specifiche aree cerebrali come il giro temporale superiore e il giro di Heschl.
Ogni suono coinvolge funzioni neurologiche, cognitive e psichiche. Ascoltare musica, dunque, non è mai un gesto neutro. È un’esperienza che può radicarsi così profondamente da resistere anche a patologie neurodegenerative come l’Alzheimer.
Una melodia è per sempre
Nel mio percorso personale, ho condotto un’analisi quasi “asettica” del comportamento umano davanti alla musica. E sono giunta a una conclusione inaspettata ma ferma: una melodia è per sempre.
Alcuni suoni si imprimono dentro di noi, ci accompagnano per tutta la vita, anche quando la memoria sembra svanire. Per questo, studiare il suono significa studiare l’uomo.